Leggi che tutelano le donne

Leggi che tutelano le donne

Alcuni pregiudizi delle donne

  • Non è vero che se non ci sono testimoni ai maltrattamenti che subisci in famiglia non puoi procedere ad una denuncia; spesso le violenze che avvengono all’interno delle mura domestiche non hanno testimoni ma non per questo gli autori di questi reati rimangono impuniti;
  • Non è vero che se dei tuoi familiari (spesso i tuoi figli/e) sono presenti durante i maltrattamenti non possano in quanto tali testimoniare in un processo penale; non ci sono norme che vietano ai parenti di testimoniare o che rendano “invalida” o “inattendibile” la loro dichiarazione
  • Non è vero che se quereli o denunci tuo marito o il tuo compagno per maltrattamento o violenza la conseguenza è l’allontanamento dei figli/e ad opera del Tribunale per i Minorenni
  • Non è vero che se il tuo partner viene condannato a seguito di una tua denuncia i vostri figli non potranno accedere a concorsi pubblici
  • Non è vero che l’abuso sessuale da parte del partner non è reato, non lo devi sopportare in quanto dovere coniugale

La separazione personale

Il nostro ordinamento giuridico prevede due diversi tipi di separazione:

  • Separazione Consensuale:
    si procede a tale tipo di separazione quando vi sia l’accordo dei coniugi su:

    • assegnazione della casa familiare;
    • diritto al mantenimento;
    • affidamento dei figli minori e diritto di visita dell’altro coniuge (quando, per quanto tempo ecc.)

La procedura prevede:

  • la presentazione del ricorso al Tribunale civile competente che fissa la data dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti al Presidente del Tribunale per il tentativo obbligatorio di conciliazione;
  • nel caso di esito negativo del tentativo di conciliazione, quando i coniugi confermino la loro decisione di separarsi, la rimessione della causa al Collegio da parte del Presidente per l’omologazione (controllo sulle condizioni della separazione stabilite dai coniugi e successivo decreto);
  • l’emissione del decreto di omologazione della separazione con conseguente dichiarazione di separazione legale;
  • Separazione Giudiziale:
    si procede a tale tipo di separazione quando uno dei coniugi presenti un ricorso contro l’altro, indicando le ragioni della richiesta di separazione e le responsabilità dell’altro nel fallimento del progetto matrimoniale. In tali casi si chiede che il Tribunale decida su :

    • l’assegnazione della casa familiare;
    • l’affidamento dei figli minori e diritto di visita dell’altro coniuge;
    • la determinazione dell’importo dell’assegno di mantenimento per il coniuge che non percepisca redditi e per i figli.

La procedura prevede:

  • la presentazione del ricorso al Tribunale civile competente (foro del convenuto ossia Tribunale del luogo ove risiede il coniuge contro cui si presenta il ricorso) che fissa l’udienza di comparizione davanti al Presidente del Tribunale per il tentativo obbligatorio di conciliazione;
  • nel caso di esito negativo della conciliazione, l’emissione da parte del Presidente di un’ordinanza contenente i provvedimenti temporanei ed urgenti relativi all’assegnazione della casa familiare, l’affidamento dei figli minori, la regolamentazione del diritto di visita del genitore non affidatario, la determinazione dell’assegno di mantenimento per il coniuge e i figli. Questi provvedimenti sono temporanei e diverranno definitivi al termine della causa che viene rinviata dal Presidente al Giudice Istruttore.

In entrambi i tipi di separazione è importante ricordare che dalla data dell’udienza davanti al Presidente del Tribunale decorre il termine di tre anni per la presentazione della domanda di divorzio. Se dopo la separazione legale, i coniugi tornano a convivere nella stessa abitazione ripristinando durevolmente il consorzio familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali (non è sufficiente tornare a vivere per qualche tempo sotto lo stesso tetto, o trascorrere periodi di vacanza insieme), la separazione stessa decade ed in caso di nuova crisi coniugale occorrerà presentare ex novo un ricorso per la separazione personale.

Il Divorzio

Il divorzio comporta la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Come già detto, dopo tre anni dall’udienza di comparizione davanti al Presidente del Tribunale a cui si è presentato il ricorso per la separazione consensuale o quello per la giudiziale, e solo nel caso in cui i coniugi non abbiano ripreso la convivenza, si può presentare il ricorso per il divorzio nelle seguenti forme:

  • Congiunto:
    nel caso in cui ci sia accordo tra i coniugi sul diritto all’abitazione, il mantenimento, l’affidamento dei figli minori e il diritto di visita del coniuge non affidatario.
  • Giudiziale:
    nel caso in cui sia uno dei coniugi a presentare il ricorso e non vi sia accordo dell’altro sui diritti sopra menzionati (abitazione, figli, mantenimento ecc..); si chiede quindi che sia il Tribunale a pronunciarsi sulla regolamentazione definitiva dei rapporti patrimoniali tra i coniugi e tra questi ed i figli.

I coniugi possono adire, successivamente alla separazione consensuale o giudiziale o al divorzio congiunto o giudiziale, l’Autorità Giudiziaria per la modifica della condizioni precedentemente stabilite, quando siano cambiate le situazioni di fatto che le avevano determinate (es: perdita del lavoro proprio o del coniuge, vicende personali dei figli ecc..).
N.B. si consiglia comunque nel momento in cui si decida di intraprendere un procedimento di separazione, divorzio o modifica delle condizioni in essi contenute, di rivolgersi ad un legale per chiedere consiglio ed assistenza.

L’assegno di mantenimento

Per ottenere un assegno di mantenimento in proprio favore e/ in favore dei propri figli è necessario rivolgersi all’Autorità Giudiziaria in sede civile, che ne stabilisce la misura.
Se l’assegno di mantenimento è stato stabilito e non viene versato dall’obbligato è possibile iniziare un procedimento civile esecutivo per il recupero delle somme non versate.
Ci si può rivolgere al Giudice civile anche per ottenere un provvedimento di distrazione in favore della creditrice della somma stabilita a titolo di mantenimento che non venga versata volontariamente dal coniuge obbligato; si tratta di un ordine rivolto all’Ente pagatore o al datore di lavoro presso cui il debitore svolge la propria attività lavorativa, di corrispondere una parte dello stipendio di costui direttamente alla creditrice. E’ possibile ottenere la tutela di cui sopra attraverso un altro particolare procedimento previsto dalla legge sul divorzio, ed applicabile alle separazioni legali già definite con provvedimento giudiziale.
Il mancato versamento dell’assegno di mantenimento integra anche il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare e consente una tutela in sede penale, laddove la creditrice decida di querelare il debitore.
N.B. si consiglia comunque nel momento in cui si decida di intraprendere un procedimento che riguardi il mancato adempimento dell’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento, di rivolgersi ad un legale per chiedere consiglio ed assistenza.

Il ruolo del Tribunale per i Minorenni

Il Tribunale per i Minorenni è competente ad intervenire nei seguenti casi:

  • controllo sulla potestà esercitata dai genitori uniti in matrimonio;
  • tutela dei minori (se richiesto e necessario) sulla regolamentazione del diritto di visita nell’ipotesi di separazione solo di fatto dei genitori uniti in matrimonio (prima di adire l’Autorità Giudiziaria per il procedimento di separazione legale);
  • regolamentazione della potestà, dell’affidamento e degli incontri tra i minori ed i genitori non uniti in matrimonio (filiazione naturale);
  • procedimento di Affidamento Familiare (L. 184/1983);
  • procedimento di adozione nazionale ed internazionale.

Il Tribunale per i Minorenni non è competente in materia patrimoniale e di mantenimento dei minori. Si avvale dei servizi presenti nel territorio per le indagini sulla situazione familiare del minore oggetto dell’intervento.

Patrocinio a spese dello Stato per le cause civili (D.P.R. 30 Maggio 2002 N. 115)

L’ammissione al c.d. gratuito patrocinio ha luogo nei giudizi civili quando lo stato di indigenza dell’interessata/o non consenta di far fronte alle spese legali di un eventuale giudizio; (es: ricorso per separazione consensuale o giudiziale, divorzio congiunto o giudiziale, richiesta di revisione delle condizioni precedentemente stabilite, ecc.).
Può essere ammessa/o al patrocinio chi sia titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a Euro 10.628,16; tale reddito è costituito, se l’interessata/o convive con altri familiari, dalla somma dei loro redditi personali conseguiti nel medesimo periodo ma si tiene conto del solo reddito personale nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi (es: se la donna ha un reddito di 6.000,00 Euro l’anno ed il marito di 8.000,00 Euro ma la donna vuole intraprendere un giudizio di separazione personale, allora, pur essendo loro conviventi, essendo i loro interessi in conflitto, nel calcolo del reddito totale non si terrà conto di quello del coniuge).
L’istanza deve contenere a pena di inammissibilità le spiegazioni delle ragioni in fatto e in diritto che giustificano la fondatezza della pretesa che si intende far valere oltre che le generalità del richiedente e dei familiari con lui conviventi ed i codici fiscali di tutti; deve essere corredata da un’autocertificazione attestante la sussistenza delle condizioni per l’ammissione al beneficio, con la specificazione del reddito complessivo di tutti i componenti il nucleo familiare; deve contenere l’impegno a comunicare entro 30 giorni dalla scadenza del termine di un anno le eventuali variazioni dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente e rilevanti ai fini della concessione del beneficio.
Vi è la presunzione di insussistenza delle condizioni reddituali per avere il beneficio, a carico di chi sia stato già condannato con sentenza irrevocabile per reati di associazione di tipo mafioso anche straniere, associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, traffico di sostanze stupefacenti (nelle ipotesi aggravate) reati commessi avvalendosi dalle associazioni mafiose ovvero al fine di agevolare l’attività di dette associazioni. In sostanza il legislatore ha inteso escludere dall’accesso al beneficio alcune categorie di persone già condannate per questi reati particolarmente gravi.

Art. 570 Codice Penale: Violazione degli obblighi di assistenza familiare

Questa norma punisce “chiunque”, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà dei genitori o alla qualità di coniuge”.

  • Sanzione:
    la pena è della reclusione fino ad un anno o la multa da € 103 a € 1.032; queste pene si applicano congiuntamente a chi malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge ed anche se si fanno mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge non legalmente separato per sua colpa;
  • Procedibilità:
    a querela di parte; tuttavia se la condotta si concretizza nel “malversare o dilapidare i beni dei figli minori o del coniuge o nel far mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti minori o inabili al lavoro” il reato è procedibile d’ufficio
  • Competenza:
    Tribunale in composizione monocratica

Norme contro la violenza nelle relazioni familiari

La legge 4 aprile 2001 n. 154 ha previsto una misura cautelare personale nel caso di violenza familiare. In particolare è stato introdotto nel capo II del libro IV del codice di procedura penale l’art. 282 bis (allontanamento dalla casa familiare); si tratta di una misura coercitiva che prescrive all’imputato, che abbia tenuto condotte violente nei confronti del coniuge o di altro convivente (maltrattamento in famiglia, lesioni, percosse ecc..), di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza autorizzazione del Giudice (il quale se ciò si renda necessario, potrà prescrivere particolari modalità di ingresso).
Oltre a questa misura “principale” può essere prevista quella accessoria del divieto di avvicinarsi a determinati luoghi, normalmente frequentati dalla persona offesa, quali la dimora della propria famiglia d’origine o dei prossimi congiunti, il luogo di lavoro ovvero la scuola frequentata dai figli.
Il Giudice inoltre, su richiesta del Pubblico Ministero, può applicare all’indagato anche una misura patrimoniale provvisoria (destinata a perdere efficacia se interviene un’ordinanza del giudice civile in tema di separazione o altro provvedimento del giudice civile che regoli comunque i rapporti economico-patrimoniali dei coniugi, ovvero il mantenimento dei figli; la prescrizione consiste nell’obbligo di versare periodicamente un assegno di mantenimento per quei componenti della famiglia che a seguito dell’allontanamento da casa del soggetto maltrattante restino privi di mezzi di sostentamento; spesso infatti le persone accusate di condotte violente all’interno della famiglia sono al contempo la loro unica fonte di reddito; in questi casi il giudice, se possibile, può stabilire che l’assegno venga detratto dallo stipendio e direttamente versato nelle mani del beneficiario, convivente o familiare vittima della violenza. Il decreto legge 23.02.2009 n. 11 ha introdotto una nuova misura cautelare coercitiva a difesa della persona offesa vittima di “atti persecutori” (cd. stalking); l’art. 282 ter c.p.p. (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) stabilisce il divieto per l’imputato di avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una certa distanza da tali luoghi o dalla stessa persona offesa; se vi sono particolari ed ulteriori esigenze di tutela, la misura cautelare può essere emessa anche a tutela dei conviventi o prossimi congiunti o delle persone comunque legate affettivamente alla persona offesa; il giudice in questo caso potrà prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a determinati luoghi da loro frequentati o di non avvicinarsi a loro o di mantenere una certa distanza da tali luoghi o persone. Il giudice potrà inoltre vietare all’imputato di comunicare attraverso qualsiasi mezzo con le persone sopra indicate.
Sia la misura cautelare dell’allontanamento da casa, sia quella del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, dovranno essere comunicati alla parte offesa ed ai servizi socio-assistenziali del territorio oltre che all’Autorità di Pubblica Sicurezza.

Art. 572 Codice Penale: Norma contro il maltrattamento in famiglia o verso i fanciulli

Questa norma punisce “chiunque maltratta una persona della famiglia, o un minore degli anni quattordici, o una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte”.
Il reato si configura quando vi sia una continuità di condotte (in un lungo periodo molteplici atti di vessazione, umiliazione, aggressione fisica ecc..) che causano sofferenze fisiche e morali ad uno o più componenti della famiglia. Se tale continuità temporale non ricorre, pur non potendosi ipotizzare il reato di maltrattamenti potranno comunque ravvisarsi singole fattispecie di reato quali le lesioni, le ingiurie, le percosse, la violenza privata, ecc..

  • Sanzione:
    la pena è della reclusione da uno a cinque anni; la pena è aumentata a seconda che dalla condotta derivino lesioni gravi, gravissime o la morte.
  • Procedibilità: d’ufficio.
  • Competenza: Tribunale in composizione monocratica; se ricorrono lesioni gravissime è competente il Tribunale in composizione collegiale, se ricorre la morte è competente la Corte d’Assise.
    N.B. quando si è vittime di episodi di aggressione ad opera di un familiare é bene farsi refertare dal medico o presso un Pronto Soccorso, anche se non si voglia denunciare questo singolo episodio; laddove dovessero verificarsi in futuro altri fatti analoghi, il referto servirà per dimostrare la continuità nel tempo degli atti al fine di configurare il reato di maltrattamento piuttosto che quello di lesioni o percosse.

La legge contro la violenza sessuale

Con la legge n. 66 del 15 febbraio 1996 è stata approvata la riforma dei reati in materia di violenza sessuale; la prima significativa innovazione riguarda l’inserimento dei predetti reati tra i delitti contro la persona, ed in particolare contro la sua libertà e non più tra quelli contro la morale pubblica e il buon costume.
L’art. 609 bis del codice penale definisce la “violenza sessuale” e punisce “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali”, o “chi induce taluno (a fare ciò)
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona”.

Sanzioni: la pena è della reclusione da 5 a 10 anni; nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
La pena è da 6 a 12 anni se il reato è commesso:

  • nei confronti di persona minore di quattordici anni;
  • con l’uso di armi, sostanze alcoliche, narcotiche, ecc…;
  • da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio;
  • su persona limitata nella libertà personale;
  • nei confronti di persona che non ha compiuto i sedici anni, della quale l’abusante sia ascendente, genitore, anche adottivo, tutore;

La pena è da 7 a 14 anni se il reato è commesso nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni 10.

Procedibilità: a querela della persona offesa entro sei mesi dall’accaduto; una volta presentata non è più revocabile. Tuttavia si procede d’ufficio:

  • se la violenza è commessa in danno di persona minore degli anni 18;
  • se il fatto è commesso dall’ascendente, dal genitore, anche adottivo, o dal di lui convivente, dal tutore ovvero da altra persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza o custodia o che abbia con esso una relazione di convivenza;
  • se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio nell’esercizio delle proprie funzioni;
  • se il fatto è connesso con un altro delitto per il quale deve procedersi d’ufficio;
  • se l’atto sessuale (quindi in caso non di violenza sessuale) è consumato con persona minore degli anni 10;
  • nelle ipotesi di violenza sessuale di gruppo cioè commessa da due o più persone.

L’art. 609 quinques c.p. definisce la “corruzione di minorenne” e punisce chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni 14 al fine di farla assistere.
Sanzioni: reclusione da 6 mesi a tre anni.
Procedibilità: d’ufficio.
Competenza: Tribunale in composizione monocratica.

Atti Sessuali con Minori

L’art. 609 quater c.p. definisce la fattispecie degli “atti sessuali con minorenne” e punisce chiunque al di fuori delle ipotesi previste all’art. 609 bis c.p., dunque senza uso di violenza o minaccia ecc.. compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto:

  • non ha compiuto gli anni 14;
  • non ha compiuto gli anni 16, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza.
  • Al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609 bis, l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, o il tutore, che con abuso dei poteri connessi alla sua posizione, compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici, è punito con la reclusione da tre a sei anni.
  • Non é punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 609 bis c.p. (violenza sessuale..), compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni 13, se la differenza di età tra i soggetti non é superiore a tre anni.

Sanzione: reclusione da 5 a 10 anni; nei casi di minore gravità la pena è diminuita fino a due terzi; viceversa la pena è della reclusione da 7 a 14 anni se il reato è commesso nei confronti di un minore che non ha compiuto gli anni 10.
Si osservi che le pene stabilite sono le stesse previste per le fattispecie di violenza sessuale; in sostanza il trattamento sanzionatorio assimila le ipotesi di mancanza di consenso (violenza, minaccia, ricatto) ad un consenso evidentemente “viziato” dalla immaturità psicologica del minore che abbia meno di 14 anni, o 16 anni, o 18 anni e si relazioni sessualmente con un “adulto” (c.d. “violenza sessuale presunta”).
D’altra parte il legislatore ha riconosciuto la “libertà” sessuale ed il diritto all’affettività del minorenne che abbia già compiuto i tredici anni e che (evidentemente fuori dalle ipotesi di violenza) presti il consenso al rapporto sessuale con altro minorenne.
Competenza: per i reati di violenza sessuale, anche in danno di minori, la competenza è del Tribunale in composizione collegiale.
Procedibilità’: come già osservato la procedibilità è a querela di parte, entro sei mesi dal fatto ed è irrevocabile, salvi i casi di procedibilità d’ufficio sopra enunciati

Atti Persecutori

Il già citato decreto legge n. 11/2009 ha modificato il codice penale introducendo nel libro II titolo XII che disciplina i delitti contro la persona ed in particolare contro la libertà morale una nuova figura delittuosa comunemente denominata stalking la cui disciplina è regolata dall’art. 612 bis c.p. che definisce gli “atti persecutori”: è punito chi, con condotte reiterate minaccia o molesta taluno tanto da cagionare un perdurante e grave stato d’ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata da relazione affettiva, ovvero da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita.
Fino a quando non sia proposta la querela, la persona offesa può esporre i fatti all’autorità di Pubblica Sicurezza chiedendo al Questore che ammonisca l’autore della condotta.
Il Questore, assunte se necessario informazioni dagli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, se ritiene fondata la richiesta, ammonisce oralmente il soggetto contro cui è stato chiesto il provvedimento, invitandolo a comportarsi in modo conforme alla legge; di tale attività è redatto un processo verbale la cui copia viene rilasciata sia alla persona offesa sia al soggetto ammonito.
Le Forze dell’Ordine, i Presidi Sanitari e le Istituzioni Pubbliche che ricevono dalla vittima la notizia di reato di “atti persecutori” (sopra specificato) hanno l’obbligo di fornire alla vittima tutte le informazioni relative ai centri antiviolenza presenti sul territorio e in particolare nella zona di residenza della vittima; questi soggetti se la vittima ne fa espressa richiesta devono provvedere a metterla in contatto con i Centri antiviolenza.
Sanzione: la pena è della reclusione da sei mesi a quattro anni. Tuttavia la pena è aumentata se:
1) il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia stata legata da relazione affettiva con la vittima (ex partner);
2) il fatto è commesso in danno di minore o di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità;
3) il fatto è commesso con uso di armi o da persona travisata;
4) se il fatto è commesso da soggetto che sia stato già ammonito.
Competenza: Tribunale in composizione monocratica.
Procedibilità: a querela della persona offesa da proporre entro sei mesi. Tuttavia si procede d’ufficio se:
1) il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità;
2) se il fatto è connesso con altro delitto per cui si deve procedere d’ufficio;
3) se il fatto è commesso da persona che sia stata già ammonita.

La Legge contro la Pedofilia

La legge 3 agosto 1998 n. 269 trae origine dall’impegno assunto dall’Italia con la Convenzione di New York sui Diritti del Fanciullo stipulata il 20.11.1989 e ratificata con la legge 27.05.1991 n. 176, nonché dall’adesione a quanto sancito dalla dichiarazione finale della Conferenza Mondiale di Stoccolma del 31.08.1996; con essi gli Stati aderenti, si sono “impegnati a proteggere i fanciulli da ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale”.
Le norme in esame sono state inserite nel nostro codice penale nel titolo sui delitti contro la persona e nella sezione dei delitti contro la personalità individuale, proprio perché si considera lo sfruttamento sessuale minorile come una nuova forma di schiavitù.

Art. 600 bis I comma c.p.

Definisce la “prostituzione minorile” e punisce chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni 18 ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione. La pena è della reclusione da 6 a 12 anni e la multa da Euro 15.493 a Euro 154.937.
Il II comma definisce e punisce il “cliente“: salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di età compresa tra i 14 e i 16 anni, in cambio di denaro o altra utilità economica. La pena è della reclusione da 6 mesi a 3 anni o la multa non inferiore a Euro 5.164; la pena è ridotta di un terzo se colui che commette il reato è minore di 18 anni.
Procedibilità: d’ufficio.
Competenza: nell’ipotesi del I comma il Tribunale in composizione collegiale; nell’ipotesi del II comma il tribunale in composizione monocratica.

Art. 600 ter c.p.

Definisce la “pornografia minorile” e punisce al I comma chiunque sfrutta minori degli anni 18 al fine di realizzare esibizioni pornografiche, o di produrre materiale pornografico; al II comma chi fa commercio del materiale sopra citato; al III comma chi, con qualsiasi mezzo, anche per via telematica, distribuisce, divulga o pubblicizza il materiale pornografico sopra menzionato, ovvero distribuisce o divulga notizie o informazioni finalizzate all’adescamento o allo sfruttamento sessuale di minori degli anni 18; al IV comma, chiunque fuori dai casi sopra citati, consapevolmente cede ad altri, anche a titolo gratuito, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni 18.
Sanzione: per le ipotesi di cui al I e II comma la pena è della reclusione da 6 a 12 anni e della multa da Euro 25.822 a Euro 258.228; per l’ipotesi di cui al III comma la pena è della reclusione da 1 a 5 anni e la multa da Euro 2.582 a Euro 51.645; per l’ipotesi di cui al IV comma la pena è della reclusione fino a 3 anni o la multa da € 1.549 a € 5.164.
Procedibilità: d’ufficio
Competenza: Tribunale in composizione collegiale per le ipotesi dei primi 3 commi, monocratico per l’ipotesi di cui al IV comma.

Art. 600 quater

Definisce la “detenzione di materiale pornografico” e punisce chi, al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 600 ter c.p., consapevolmente si procura o dispone di materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori degli anni 18.
Sanzione: la pena è della reclusione fino a 3 anni o la multa non inferiore a Euro 1.549.
Procedibilità: d’ufficio. Competenza: Tribunale in composizione monocratica.

Art. 600 quinques c.p.

Definisce le “iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile” e punisce chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione a danno di minori o comunque comprendenti tale attività.
Sanzione: la pena è della reclusione da 6 a 12 anni.
Procedibilità: d’ufficio.
COmpetenza: Tribunale in composizione collegiale.
Per i reati rubricati all’art. 600 bis I comma, 600 ter I comma e 600 quinques sono previsti aumenti di pena da un terzo alla metà se la vittima ha meno di 14 anni; nel caso di cui all’art. 600 bis I comma e 600 ter la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente, un genitore anche adottivo o dal suo coniuge o convivente, o da un affine entro il secondo, o da un parente entro il quarto grado collaterale, dal tutore o da persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro, ovvero da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio nell’esercizio delle loro funzioni ovvero se é commesso in danno di minore in stato di infermità o di minorazione psichica, naturale o provocata, o se commesso con violenza o minaccia.
E’ invece prevista una riduzione di pena da un terzo alla metà, per chi, nei casi di cui all’art. 600 bis e 600 ter, si adoperi concretamente al fine di far riacquistare al minore vittima di questi reati, la libertà e l’autonomia.

Art. 601 II comma c.p.

Definisce il reato di “tratta e commercio di minori” e punisce chiunque tratta o fa commercio di minori di anni 18 al fine di indurli alla prostituzione.
Sanzione: la pena è della reclusione da 6 a 20 anni.
Procedibilità: d’ufficio.
Competenza: Corte d’Assise.

La Denuncia

Ogni persona che abbia notizia di un reato procedibile d’ufficio può farne denuncia al Pubblico Ministero o ad un ufficio di Polizia Giudiziaria.
Sussiste invece l’obbligo giuridico di fare denuncia per i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, abbiano notizia di un reato perseguibile d’ufficio.
In tali casi occorre fare denuncia per iscritto anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito.
Quando per uno stesso fatto sono obbligate alla denuncia più persone, può essere redatto e sottoscritto un unico atto.
Le denunce e le querele devono contenere l’esposizione degli elementi essenziali del fatto:

  • il giorno dell’acquisizione della notizia;
  • le fonti di prova che si conoscono;
  • le generalità, il domicilio e quant’altro valga all’identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa e di eventuali testimoni.

E’ sempre opportuno, in caso di lesioni anche lievi, farsi refertare ed allegare il relativo certificato alle denunce-querele.

La Querela

  • la querela può essere proposta solo dalla persona offesa dal reato per il quale non debba procedersi d’ufficio;
  • per i minori degli anni 14 e per gli interdetti per infermità di mente, la querela è proposta dal genitore o dal tutore; i minori che hanno compiuto 14 anni e gli inabilitati possono esercitare il diritto di querela, e possono altresì in loro vece esercitarlo il genitore ovvero il tutore o il curatore, nonostante ogni contraria dichiarazione di volontà, espressa o tacita del minore o dell’inabilitato;
  • il termine per proporre la querela è di tre mesi; questa può essere rimessa in ogni momento ma prima che la sentenza di condanna diventi definitiva;
  • la querela può essere presentata sia per iscritto sia oralmente presso un Ufficio di Polizia Giudiziaria o presso la Procura della Repubblica.

Gratuito Patrocinio

La legge del 30 luglio 1990 n. 217, così come modificata dal D.P.R. n. 115/2002, prevede il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti siano essi indagati, imputati, condannati, danneggiati dal reato che si vogliano costituire parte civile, responsabili civili, ovvero civilmente obbligati per la pena pecuniaria.

Condizioni per l’ammissione al beneficio

  • può essere ammesso al gratuito patrocinio chi sia titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a Euro 10.628,16
  • se l’interessato/a convive col coniuge o altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti da ogni componente, ivi compreso il richiedente, ma in questo caso il limite di reddito é elevato di Euro 1.032,91 per ogni familiare convivente.
  • si tiene conto del solo reddito del richiedente nei procedimenti in cui i suoi interessi siano in conflitto con quelli degli altri componenti del nucleo familiare (es: la donna vittima di maltrattamento causato dal marito, non cumulerà il proprio reddito con quello di quest’ultimo).
  • l’istanza deve contenere le generalità del richiedente e dei familiari con lui conviventi, i codici fiscali di tutti; deve essere corredata da un’autocertificazione attestante le beneficio, con la specificazione del reddito complessivo di tutti i componenti il nucleo familiare.
  • l’impegno a comunicare entro 30 giorni dalla scadenza del termine di un anno le eventuali variazioni dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente e rilevanti ai fini della concessione del beneficio.
  • vi è la presunzione di insussistenza delle condizioni reddituali per avere il beneficio, a carico di chi sia stato già condannato con sentenza irrevocabile per reati di associazione di tipo mafioso anche straniere, associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, traffico di sostanze stupefacenti (nelle ipotesi aggravate) reati commessi avvalendosi dalle associazioni mafiose ovvero al fine di agevolare lìattività di dette associazioni. In sostanza il legislatore ha inteso escludere dall’accesso al beneficio alcune categorie di persone già condannate per questi reati particolarmente gravi.
  • Il decreto legge n. 11/2009 ha stabilito che la vittima di violenza sessuale (art. 609 bis, 609 quater e 609 octies) é ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla legge (quindi anche se supera il limite previsto dalla legge).