Miriam Mafai (la bandiera delle donne) di Concita De Gregorio

 

La Bandiera delle Donne
di Concita DeGregorio
da LaRepubblica del 10.04.2012

E voi ragazze che ne dite?, chiedeva anche da ultimo Miriam. Noi ragazze abbiamo quarant’ anni, ridevamo. «Se è per questo qualcuna anche cinquanta», rispondeva lei. «Comunque, insomma, voi ragazze che ne dite?». Dell’ ultimo film della brava libanese, del primo romanzo della giovane Paola Soriga che le era piaciuto tanto, ma tanto. Del linguaggio di Elsa Fornero e delle sue proposte, di cos’ è più la classe operaia, della politica che non ne vuole sentir parlare più nessuno, della corruzione dei tesorieri, dei bambini che nascono sempre di meno e quando nascono sono figli di stranieri ma se sono nati qui saranno ben italiani, no?, voi ragazze che ne dite?, e di questa riforma di legge elettorale che mi sembra un po’ farlocca e di questo libro di testo per le medie e della prostituzione intellettuale dei giornalisti pagati con ingaggi da sicari, quelli che poi se ne vanno con liquidazioni miliardarie, non è forse peggio quella della prostituzione dei corpi? Almeno uguale, diciamo, voi ragazze che ne dite? La facciamo una campagna di verità per raccontare la prostituzione cosa sia davvero? Che tempo difficile vi è toccato povere ragazze, che tempo strano. Chi l’ avrebbe detto che noi vecchie avremmo visto la macchina correre a motori indietro. Pensavamo di aver fatto il grosso del lavoro, tutta quanta la fatica e invece no, ecco: ecco che ce n’ è d’ avanzo anche per voi. Per noi ragazze Miriam, che ogni volta starla a sentire era una festa, incarnava la storia che ci ha portate fin qui. Fisicamente, proprio. Le mani nodose sempre a disegnare nell’ aria, i capelli corti e i maglioni larghi, morbidi, maglioni di qualcun altro. Gli occhi grandi dietro gli occhiali, quel modo così marcato di dire le “t” e le “d”, quel modo di fare sì con la testa quando stavi dicendo qualcosa che pareva convincerla e poi il sorriso con cui all’ improvviso, sempre facendo sì ma più lentamente, diceva “però devi pensare anche che”, e smetteva di annuire, e in quattro parole ribaltava il tavolo con le carte sopra, il ragionamento, la conclusione, la premessa. Quel modo di dissentire annuendo e di annuire nel dissenso, di fare molto dando l’ impressione di non far nulla, di fare piano. «Quando ero adolescente», cominciavano spesso così le sue frasie non finivano mai come ti saresti aspettata. Quando ero ragazza le donne non potevano fare il medico né il magistrato, non potevano fare il segretario comunale e non penso che alle donne gliene importasse un granché di fare il segretario comunale ma insomma, non potevano insegnare filosofia, ci pensate, e ora il problema è che non la vogliono studiare la filosofia. Sono tanto migliorati i tempi per le donne, diceva, e poi tanto peggiorati. Perché certo se vuoi fare la velina o la escort sei naturalmente libera di farlo ma ritengo che sono state le donne che hanno fatto scelte diverse da quelle, nel passato, a dare a tutte tante possibilità. E credo che il tema oggi sia tornare a fare un buon uso di queste possibilità: offrire alternative. Così, diceva e dicendolo le si leggevano negli occhi i nomi delle donne a cui pensava, delle strade camminate insieme a loro, dei cartelli tenuti alti alle manifestazioni, degli scioperi fuori dalle fabbriche,i picchetti, il femminismo, la maternità, i nipoti, le bisnipoti. Le sembrava di essere stata una madre frettolosa. «Il giorno più bello della mia esistenza è stato quando sono nate le mie pronipoti, due gemelle». Due nuove donne minuscole per un tempo ancora da venire. Tenevaa portata di mano,a casa, i libri sulla storia del Pci e Irène Némirovsky, negli scaffali qualche numero dei giornali in cui aveva lavorato – Vie Nuove, l’ Unità, Noi donne, Paese Sera – prima di arrivare a Repubblica dove è rimasta fino alla fine. Alla fine degli anni Ottanta la ricordo presente, ogni mattina, alla riunione di redazione. Interveniva su tutto, aveva sempre uno sguardo solo suo sulle cose, come se le vedesse tutte da un altro punto di vista: da molto vicino, da molto lontano, di lato. Noi giovani la ascoltavamo come un oracolo, naturalmente, ma lei era bravissima a domandare, finiva sempre per ascoltare noi. Ricordo la prima volta nell’ ascensore piccolo, quello da due persone: sei fortunata seguire la politica, mi disse, ci vogliono donne a raccontare la politica, a mostrarla per quello che è. Avrebbe voluto fare la storica,è stata una delle più grandi giornaliste del secolo. Diceva, ed aveva ragione, che per imparare a raccontare la realtà bisogna fare esperienza sulla cronaca, in specie sulla cronaca nera. Era stata la lezione di Paese Sera. Poi diceva che bisognerebbe sospendere il giudizio fino a che non si sia sicuri di aver capito, cosa che può succedere molto tardi. Gliel’ ho sentito ripetere l’ ultima volta, proprio con queste parole, nei giorni di Eluana Englaro. Aveva conservato, onnivora, un orecchio speciale per tutto quel che riguarda le donne, cioè per tutto. Quando uscì Pane nero dette a tutte noi una lezione di sobrietà, di rispetto, di passione: raccontava quegli anni senza nostalgia né retorica, stava in questo tempoe ne conosceva le radici. In Parlamento stava fiera e completamente immune dalla tentazione del male minore. Come Irene Brin: «vorrei arrivare a destinazione povera e senza compromessi». Senza denaro e senza macchia, percorso netto. Come Camilla Cederna era folgorante nella battuta, caustica col potere, ma più e prima di tutte le altre ironica e leggera, anche, sebbene nel solco della tradizione politica più severa e per le donne più dura che ci sia, quella del Pci: «alle compagne si dava la parola ma poi non si ascoltava», rideva. Lei si era fatta ascoltare, lo aveva fatto abbassando la voce anziché alzarla. Sobria, bella, indulgente e intransigente, generosa con le donne più giovani come così di rado accade, disponibile a condividere il pensiero e la scrittura, mai certa di aver detto la parola definitiva, pronta ad ascoltare quello di nuovo che c’ è con curiosità intatta e senza la presunzione di chi c’ era prima, è arrivato prima, l’ ha detto prima, ha faticato di più. Piena di dubbi, maestra nell’ articolarli. Nemica dell’ ipocrisia, pronta a divertirsi sempre. Seduta su quella poltrona, la storia e i quadri dei suoi genitori, dei suoi amici alle spalle, Miriam era lì a dirci con la sua sola presenza il punto esatto da dove partire. Speriamo di riuscire un giorno a consegnare alle sue magnifiche pronipoti gemelle un paese almeno ugualea quello che lei ha lasciato a noi. Senza smettere un giorno di marciare, ricordando il suono del suo passo. Forza ragazze, è suonata la sirena. Cambia il turno, al lavoro.