Il film non è didascalico e non vuole dare una lezione morale, ma ci conferma che la violenza domestica è una tragedia non soltanto per la donna, ma anche per i figli.
Recensione di Nadia Boaretto da Dol’s magazine link per articolo intero (qui sotto ripreso a tratti)
https://www.dols.it/2019/11/23/la-vita-possibile
….La storia è ambientata in una Torino nebbiosa, sotto la Mole, in via Borgo Dora, ai Giardini Reali, alla stazione di Porta Susa, in Galleria Subalpina, al Museo del cinema, al Campus Einaudi e in molti altri punti della città …
L’idea era di raccontare il dopo, la ricostruzione.
…. La vita coniugale di Anna è da anni un inferno. Emblematica la scena in cui il marito la picchia gridandole ossessivamente: “Ammetti che non vali niente”. Ci viene mostrata da un’altra stanza, attraverso gli occhi del figlio Valerio, che vediamo impietrito, con i pantaloni bagnati come forse gli succede quando fa la pipì a letto. Ha 13 anni e la violenza sulla madre dura da 15. Ha fatto in tempo a subire scene simili anno dopo anno. Lo capiamo da questo dettaglio, dall’inquadratura sui suoi pantaloni, mentre risuonano le parole di chi vuole sopraffare anche psicologicamente, di chi si considera proprietario di una merce.
In che modo un uomo può sentirsi superiore annientando la sua compagna? È un quesito che si ripropone a ogni nuovo caso di femminicidio. E ad ogni nuovo individuo violento che poi chiede perdono e professa amore, un amore malato.
Nel film la lettera che il marito manda per farsi riaccettare è la quintessenza dell’ipocrisia e, ancor prima, della schizofrenia con le due facce del violento/falso-pentito. Non occorre dire altro di lui. Parlano le conseguenze dei suoi atti. Coesistono due forze contrarie che culminano in azioni criminali. Doctor Jekyll e Mister Hyde?
Non corrispondono in qualche modo alla doppiezza dell’amico di Carla che scimmiotta un corteggiamento vecchio stile ma vede una preda in Anna, donna single, e fa avances sempre più insistenti fino a imporsi aggredendola?
Tutto scorre bene narrativamente, ma è soprattutto grazie al volto (spesso chino) di Anna, alla solitudine di Valerio e ai suoi denti da scoiattolo che spuntano tra un sorriso introverso e un’espressione imbronciata, che proviamo un empito di vicinanza a questi personaggi, a questa storia, che ha il merito di non assurgere a monito universale. Anna piega la testa, ma non con rassegnato cedimento. Solo per un attimo e per amore del figlio gli chiede se preferisce tornare a Roma, il che significherebbe ritrovarsi in balìa del marito. Sarebbe l’estremo sacrificio, dopo un intero matrimonio di violenze, dopo le denunce, dopo la fuga. Ma Valerio dice no; è un piccolo uomo dal cuore “giusto” e va spontaneamente verso altre infelici, come la giovane prostituta Larissa (efficacissima Caterina Shulha), che lo porta in giro per negozi a provare gli indumenti da regalare al fratello minore, stessa età di Valerio, stessa taglia e stessa misura delle scarpe.
Il film non è didascalico e non vuole dare una lezione morale, ma ci conferma che la violenza domestica è una tragedia non soltanto per la donna, ma anche per i figli. E il tanto blaterato amore paterno può diventare una trappola per imporre le proprie storture, per distruggere la psiche e il futuro di giovani vite. Perché sappiamo che chi ha conosciuto la violenza contrabbandata per amore rischia di reiterare comportamenti violenti, come uniche modalità trasmesse nella vita affettiva. È anche da questo che Anna fugge, per salvare il figlio Valerio da un esempio corrosivo e stritolante.
Mathieu, che conosce le passate tribolazioni di Anna, la difende, ma a sua volta ingaggiando uno scontro fisico con il molestatore. Messaggio: anche come paladini gli uomini ricorrono anzitutto alle mani?
Il regista è maschio, quindi esprimerebbe con ciò una critica al suo genere. Ivano De Matteo
NON parteggia per gli uomini della storia. E di costoro evidenzia varie angolature; quella di Mathieu è positiva e radicata in una sua pena interiore per aver ucciso inavvertitamente un ragazzo in un incidente. Mathieu era un famoso calciatore e in effetti il calcio è al centro di molte scene e concluderà in bellezza la storia, con i ragazzi del quartiere che finalmente invitano Valerio a giocare con loro: un universo precipuamente maschile, ma con valenza molto positiva di “squadra”.
Cito da MONDO FOX:
“La storia si chiude con una ring composition: all’inizio abbiamo visto Valerio parlare di calcio con un suo amico mentre entrambi erano in sella alle loro bici. Alla fine rivediamo il giovane protagonista integrato in un gruppo di amici che lo invitano a giocare a calcio. Anna, soddisfatta e finalmente serena, raccomanda a Valerio di coprirsi bene e di divertirsi. Il finale del film di De Matteo raffigura una vera e propria “vita possibile”, una vita tranquilla, faticosamente ricostruita ma meravigliosamente intessuta da tanti piccoli momenti di felicità”.
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