Aung San Suu Kyi – La donna della Pace e dei Diritti umani


Aung San Suu Kyi

Rangoon 1945 – vivente

«Quelli di noi che hanno deciso di lavorare per la democrazia in Birmania, lo hanno fatto convinti che il pericolo di difendere apertamente i diritti umani fondamentali in uno stato repressivo fosse preferibile alla sicurezza di una vita sottomessa in servitù…»(Aung San).Aung San Suu Kyi, birmana, icona della non-violenza e della pace, è figlia del generale Aung San che nel 1947 negoziò l’indipendenza della Birmania dal Regno Unito e venne ucciso in quello stesso anno, e di Khin Kyi, la quale, nominata ambasciatrice birmana in India, nel 1960, lasciò il suo Paese assieme alla figlia. «Per me mia madre rappresentava integrità, coraggio e disciplina. Aveva un cuore molto generoso. Ma la sua vita non era stata facile. Penso che sia stato molto arduo per lei coniugare famiglia e lavoro dopo al morte di mio padre..»
Aung San, quindi, grazie alla madre, riesce a frequentare le migliori scuole indiane e successivamente inglesi, tanto che nel 1969 termina gli studi di Filosofia, Scienze Politiche ed Economiche ad Oxford. Successivamente, lavora come assistente segretaria per il Comitato di consulenza per le questioni amministrative e finanziarie del segretario delle Nazioni Unite a New York. Nel 1972 diventa funzionario di ricerca presso il ministero degli Esteri del regno del Bhutan e sposa Michael Aris, inglese, buddista, studioso di cultura tibetana, dal quale avrà due figli: Alexander, nato a Londra nel 1973, e Kim, nato a Oxford nel 1977.
Anche Aung San è una buddista, “buddista theravada”: «…certo, sono di religione buddista, e mi ispiro a tutti i principi buddisti che ho assorbito fin da piccola..ma la ragione principale per cui sono contraria alla violenza è perché ritengo che perpetrerebbe la tradizione di cambiare la situazione politica con la forza delle armi..».
Mentre Aung San è lontana dalla Birmania, nel 1974, il governo militare birmano dichiara la legge marziale ed entra in vigore una nuova costituzione che trasferisce i poteri dalle forze armate a Ne Win, che diventa presidente della Repubblica socialista di Birmania.
Nel marzo del 1988, piccoli gruppi di studenti birmani scendono per le strade di Rangoon chiedendo drastici cambiamenti politici, osano sfidare la dittatura di Ne Win e le conseguenze sono prevedibili: in un solo incidente quaranta studenti feriti muoiono soffocati in una camionetta della polizia. Alla fine di marzo Aung San viene informata che sua madre ha avuto un grave attacco di cuore, quindi si imbarca, con il marito, nel primo aereo per Rangoon e fa ritorno in Birmania, dopo 14 anni di lontananza, per starle vicino. Nel giro di 5 mesi si ritrova coinvolta in una rivoluzione nazionale che ruota intorno a lei come leader principale e che vede il Paese cominciare a manifestare pacificamente contro il regime militare. Al capezzale di sua madre, la gente va per parlarle della grave situazione politica ed economica.
Il 23 luglio, il generale Ne Win annuncia il proprio ritiro dal partito e indice un referendum. La popolazione è elettrizzata da questa prospettiva, ma i membri del partito di Ne Win si oppongono alla sua richiesta. E poi, una data su tutte: l’8.8.88. Centinaia di migliaia di manifestanti si riuniscono pacificamente per le strade di tutto il paese, chiedendo che il disastroso regime monopartitico di NeWin venga sostituito da un governo civile democraticamente eletto. Migliaia si inginocchiano davanti ai soldati dicendo loro «vi vogliamo bene; siete i nostri fratelli; vogliamo solo la libertà; voi siete l’esercito popolare; venite dalla nostra parte». I soldati fedeli al dittatore aprono il fuoco sulla folla di dimostranti disarmati. Migliaia le vittime, più ancora di quelle che un anno dopo avrebbero insanguinato piazza Tienanmen in Cina.
Con un discorso memorabile alla pagoda di Shwedagon, davanti a mezzo milione di persone, il 26 agosto del 1988, Aung San entra in politica: «In quanto figlia di mio padre, non potevo restare indifferente di fronte a tutto ciò che sta accadendo.» Lancia quella che definisce la “seconda battaglia per l’indipendenza nazionale” e fonda la National League for Democracy (NLD); la sua casa diventa il quartier generale di coordinamento del partito e della “lotta non violenta” contro la dittatura.
Per tentare di mettere a tacere le manifestazioni a favore della democrazia, l’esercito birmano uccide per le strade circa 3.000 persone tra studenti, monaci buddisti e civili. La giunta militare dichiara la legge marziale mettendo in atto la State Law and Order Restoration (SLORC): chiunque infrange la legge può essere condannato all’ergastolo, alla pena capitale o a un minimo di tre anni di lavori forzati. Ma Aung San non si scoraggia e continua a viaggiare, a tenere discorsi pubblici per tutto il paese, incoraggiando le persone a difendere i propri diritti nonostante il timore delle persecuzioni, e a praticare la disobbedienza civile contro le “leggi ingiuste”.
«Ho sempre detto che devono imparare sul serio a mettere in dubbio chi ordina loro di fare cose contrarie alla giustizia e alle leggi vigenti. Di chiedere: in base a quale legge mi costringe a fare questa cosa? Che diritto ha di farmi fare questo? La gente deve fare domande, non limitarsi ad accettare tutto supinamente.»
Nel luglio del 1989, lo SLORC le offre la possibilità di lasciare il paese, se vuole, a condizione di rimanere in esilio, ma lei è determinata a restare in Birmania e così viene messa agli arresti domiciliari. Quando il suo partito, l’anno successivo, ottiene una vittoria decisiva con 392 seggi su 485, lo SLORC annulla le elezioni e arresta gran parte degli eletti.
Nel 1989 e nel 1990 il «New York Times» denuncia la deportazione di più di cinquecentomila cittadini birmani dai grandi centri urbani verso città infestate da epidemie.
Durante gli arresti domiciliari, cominciati con il vero e proprio taglio della linea telefonica: «..sono partita dall’idea che dovevo essere molto disciplinata e darmi degli orari fissi..mi svegliavo alle 4.30 e meditavo per un’ora. Poi ascoltavo la radio all’incirca un’ora e mezzo. Quindi c’erano gli esercizi, seguiti da un po’ di lettura e poi il bagno. A quel punto mi dedicavo agli impegni in programma per la giornata tra lettura, pulizia, cucito o altro….avevo un televisore noleggiato con un videoregistratore.. (e la corrispondenza?)..rimasi in contatto con la mia famiglia per circa un anno, fino al maggio del 1990. Ma smettere fu una mia scelta..(per la spesa) c’era una ragazza, veniva tutte le mattine e mi faceva la spesa…»
Le sue riserve economiche sono talmente esigue che le bastano appena a comperarsi qualcosa da mangiare; comincia a perdere i capelli e certe volte è troppo debole per alzarsi dal letto.
Sempre durante gli arresti domiciliari, Aung San vince i premi Rafto, Sacharov (per la libertà di pensiero) e il Nobel per la pace, e con i soldi del premio (1,3 milioni di dollari) crea un fondo per la salute e l’istruzione a favore del popolo birmano: «il primo pensiero è stato che la gente si sarebbe interessata maggiormente alla nostra causa per la democrazia, ma penso anche a tutti i miei colleghi che hanno sofferto molto più di me e che non hanno ricevuto un analogo riconoscimento. Il mio valore deriva in realtà dal coraggio e dalle sofferenze di molti, molti altri.»
Nel 1995 le vengono revocati gli arresti, ma rimane comunque in uno stato di semilibertà. Non può lasciare il paese ed i suoi familiari, che sono rimasti in Inghilterra, non possono visitarla; nemmeno suo marito, quando gli viene diagnosticato il cancro, potrà andare in Birmania e morirà senza rivederla.
Durante la “pausa” dagli arresti, dall’ottobre del 1995 al giugno del 1996, Aung San, davanti ai cancelli della sua casa, tiene i suoi “discorsi domenicali” davanti a diverse migliaia di persone che rischiano, ogni volta, di essere incarcerate. Ma Aung San non si lascia intimorire e continua a praticare il dialogo e la non violenza: continua, infatti, ad auspicare un dialogo tra lo SLORC che l’ha arrestata, e il movimento democratico; invita gli imprenditori stranieri che stanno valutando l’ipotesi di investire in Birmania ad attendere il ritorno della democrazia.
Continue sono le manifestazioni di appoggio ad Aung San. Nel 2000, lo SLORC trattiene per 9 giorni tutti i partecipanti di un corteo. Inizia uno stillicidio di periodi di reclusioni (lunghe) e libertà (brevissime).
Nel 2007 riesce a fare una breve apparizione al cancello della sua residenza e con le mani giunte rende omaggio ai monaci che marciano per la libertà e i diritti umani. Nonostante il regime militare spari sui dimostranti, la folla di monaci affronta coraggiosamente i militari e continua a protestare pacificamente. Migliaia di persone vengono arrestate, interrogate e torturate.
Il 13 novembre 2010, finalmente, Aung San viene liberata e dopo 10 anni ha potuto sentire al telefono suo figlio più piccolo, ormai 33enne ed il 23 novembre, finalmente rivederlo.
«Ci vuole coraggio per levare gli occhi dalle proprie necessità e per vedere la realtà del mondo intorno a sé, una realtà, come la Birmania, dove non ci sono diritti umani. Ci vuole ancora più coraggio per non voltare le spalle, per non farsi corrompere dalla paura. Non ti puoi aspettare di restar seduto senza agire e che la libertà ti venga consegnata in mano. La nostra rivoluzione avrà successo solo quando tutti si renderanno conto di poter fare la propria parte. Coraggio di vedere, di sentire e di agire…!»
E forse anche grazie al suo coraggio, il primo aprile del 2012, Aung San Suu Kyi finalmente è stata eletta in Parlamento; il suo partito (la Lega Nazionale per la Democrazia) ha conquistato 43 dei 45 seggi in palio, Aung San è stata eletta con l’82 % delle preferenze.
In queste elezioni parziali erano in palio 45 seggi: 37 alla Camera bassa (su 440 deputati), 6 alla Camera alta e 2 nelle Camere regionali. Solo in 1 la Lega non aveva suoi candidati.
Il premio nobel per la pace, nel discorso tenuto all’indomani delle elezioni suppletive ha affermato «questo non è tanto un nostro trionfo quanto un trionfo per il popolo che ha deciso di partecipare al processo politico di questo paese […]. Sarà l’inizio di una nuova era. Quello che importa non è il numero dei seggi conquistati, ma il fatto che la gente mostri tanto entusiasmo nella partecipazione al processo democratico».
Forse questa vittoria è stata anche determinata dall’operato del nuovo presidente, l’ex generale Thein Sein, il quale, negli ultimi mesi, ha fatto aperture fino ad oggi impensabili: la liberazione dei prigionieri politici, l’allentamento della censura per i media, la legalizzazione della Lega Nazionale per la Democrazia, accordi importanti con i gruppi armati delle minoranze etniche.
Le vere “aperture” però dovranno essere dimostrare dopo queste elezioni, con l’offerta ai democratici di incarichi di governo.

Fonti, risorse bibliografiche, siti

La mia Birmania (Aung San Suu Kyi in conversazione con Alan Clements), Tea 2010

Aung San Suu Kyi, Lettere dalla mia Birmania, Sperling & Kupfer 2007

Cecilia Brighi, Il pavone e i generali. Birmania: storie di un Paese in gabbia, Baldini Castoldi Dalai 2006

Aung San Suu Kyi, Liberi dalla paura, Sperling & Kupfer 2005

L’enciclopedia delle donne

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