Abusi sessuali in famiglia e contenuto dell’obbligo di protezione del genitore incolpevole

Con sentenza n. 1369/2012, la Cassazione Penale (Sez. III) si è pronunciata su un importante tema relativo al contesto famigliare, e cioè il contenuto della posizione di protezione della madre, nei confronti della figlia minorenne, rispetto alla fonte di pericolo proveniente dal coniuge e consistente in violenze sessuali perpetrate da quest’ultimo ai danni della figlia. La Giurisprudenza di Merito si è spesso orientata in maniera tale da “riempire” questo alveo di necessaria tutela dei beni giuridici dei figli innestando in capo al genitore il dovere di denunciare il coniuge. Secondo i giudici, infatti, in assenza della denuncia si configurerebbe il reato di cui al combinato disposto degli articoli 40 co. II e 609 bis cod. pen.

La Suprema Corte, invece, opera un importante bilanciamento tra due dati, quello relativo al dovere di protezione della madre nei confronti della figlia abusata, e quello della inesigibilità dell’atto di denuncia del proprio coniuge da parte di una persona. Ferme restando, quindi, le responsabilità penali dell’uomo, l’unica richiesta che l’ordinamento deve fare alla moglie è quella di denunciare solo come extrema ratio, ovvero quando qualsiasi altro comportamento o soluzione approntata non sia idonea a proteggere i figli dalla reiterazione del reato.

Altrettanto importante, e forse curioso, stanti le dispute giurisprudenziali a riguardo, è comprendere se, nel caso in cui la donna non denunciasse e, allo stesso tempo, non si preoccupasse di sventare il pericolo con altre azioni idonee, questa sia imputabile ai sensi del suddetto combinato disposto (40 c.p. e 609-bis c.p.) o vi siano altre possibili accuse da muoverle. In realtà sembra preferibile differenziare due casi:

1) Nel caso in cui la donna sia assolutamente inerte dinanzi agli episodi di violenza sessuale, e non agevoli o rinforzi il proposito criminoso del marito (neppure attraverso un’adesione psichica rafforzativa), sembra irragionevole imputarle il reato di violenza sessuale in forma omissiva (stanti, peraltro, già le notevoli difficoltà di tradurre in termini omissivi un reato di mano propria, cioè un reato che richiede un comportamento di facere). Preferibile, come già indicato dalla Cassazione, il reato di maltrattamenti in famiglia, in quanto le violenze sessuali, essendo appunto violenze, integrano il sistema vessatorio, alienante, e psicologicamente degradante, normalmente connesso all’operatività della norma (art. 572 c.p.)

2) Nel caso in cui la donna dia manforte, sia in chiave materiale, sia moralmente attraverso una istigazione, una determinazione, o una connivenza,presenza,adesione psichica in grado di rafforzare l’altrui intenzione criminosa, l’imputazione probabilmente più congrua sarebbe quella del concorso in violenza sessuale (nel caso in cui il minore si rappresenti come unico artefice effettivo il padre) e quella della violenza sessuale di gruppo nel caso in cui il minore si rappresenti l’incidenza della condotta della madre nell’ambiente famigliare durante gli episodi di violenza subita.

 

Riassumendo: La madre conserva l’obbligo di denunciare. Per evitare di denunciare, poiché esporrebbe a processo penale una persona con cui conserva un legame affettivo, la Cassazione richiede che ella si attivi per fare in modo che le condotte di violenza cessino. Solo nel caso in cui non faccia né l’una (denuncia) né l’altra cosa (adoperarsi per evitare la reiterazione delle condotte) potrà essere incriminata di qualcosa, e più precisamente: 
– maltrattamenti in famiglia, nel caso in cui non abbia dato alcun apporto alla condotta criminosa 
– concorso nel reato di violenza sessuale, nel caso in cui abbia dato un apporto psichico o materiale. A seconda della percezione che ha il minore rispetto al ruolo della madre, si potrà avere, secondo me, la bipartizione in : concorso nella violenza sessuale semplice o violenza sessuale di gruppo.