27 Gennaio 2014 Giornata della memoria PER NON DIMENTICARE

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Per ricordare raccontiamo una storia vera, così vera, che pare inventata.

UN CAMPIONE COSÌ

Parla di un campione del ciclismo, la storia che vogliamo raccontare. Un campione un po’ brontolone, ma un campione vero, il più bravo di tutti nel suo tempo e tra i più forti di tutti i tempi. Uno di quei campioni che riempiono le pagine dei giornali e che, quando passano, la gente accorre sul ciglio della strada e si affaccia alle finestre e ai balconi, per seguirli nella loro corsa, per pochi secondi e poi via.

C’è un campione e c’è la guerra tutto intorno. Una guerra vera, la più guerra di tutte, sempre che si possa pensare che qualche guerra sia meno guerra di altre. Una guerra cupa, buia, terribile.

Il campione si chiama Gino Bartali, ne avrete sentito parlare di sicuro in tivù o nei racconti del nonno. Bartali e Coppi, Coppi e Bartali, erano i due eroici avversari del pedale a metà del secolo scorso. Più anziano dei due, Bartali aveva cominciato a vincere già a metà degli anni Trenta, correndo su strade sterrate e fangose, spesso da solo, che il gruppo era attardato di un po’ e arrancava al suo inseguimento. Aveva già trionfato al Giro d’Italia e al Tour de France, alla Milano Sanremo e al Giro di Lombardia: erano più le gare che vinceva, di quelle in cui arrivava tra gli altri, oppure nelle quali cadeva, perché a volte cadeva anche lui.

Cadde, per esempio, durante il Giro del Millenovecentoquaranta, e tale fu il suo ritardo, al traguardo di tappa, che la squadra decise di puntare sul giovane Fausto Coppi, che quell’anno era suo compagno e si trovava molto meglio piazzato in classifica. Infatti Coppi vinse quell’anno il suo primo Giro d’Italia, dopo di che l’Italia entrò in guerra – la seconda guerra mondiale – e per qualche anno le biciclette furono lasciate nei granai. Già è faticoso pedalare per lunghi chilometri e salite, figurati se c’è il rischio di una bomba che ti esploda a due metri…

Ma Bartali era Bartali anche se c’era la guerra e gli anni erano bui: la gente lo amava e lo rispettava. I fascisti, in realtà, lo sopportavano di malavoglia, perché certo non era dalla loro parte, anzi, ma guai a toccarlo, che sarebbe stata la rivoluzione. E per non perdere l’abitudine e rimanere nel suo mondo, Gino si mise a riparare biciclette. Per mantenersi in buona forma, non c’era giorno che non si facesse un lungo giro tra i colli toscani e umbri, con i bambini che accorrevano esultanti e i passanti che lo salutavano levandosi il cappello.

Non c’è nulla di strano nel vedere un ciclista in bicicletta. Nulla davvero. Non c’è motivo di fermarlo e perquisirlo, per quella sua attività, che desterebbe sospetto forse per chiunque, ma non per Gino Bartali, campione affermatissimo.

Allora ne approfittò, Bartali. Pianificò dei bei giri, da Cortona a Firenze, da Terontola ad Assisi: di corsa da qua a là, una sosta per riprendere fiato, con un tè e due chiacchiere, poi di corsa da là a qua. Ma durante la sosta…

Durante la sosta alla bicicletta, poggiata nel retro della chiesa o dentro un fienile, mentre Bartali distraeva l’attenzione di ognuno, qualcuno toglieva la sella, infilava un dito nel tubo del telaio e da lì ne estraeva documenti e fotografie, arrotolati per bene, li nascondeva in fretta, quindi riposizionava la sella, dava una controllatina ai freni e se ne andava come se nulla fosse.

Erano di cittadini ebrei, quei documenti, da falsificare per portarli in salvo dalle repressioni e dalle deportazioni fasciste e naziste. E venivano salvati davvero, uno dopo l’altro, pedalata dopo pedalata, salita dopo salita, curva dopo curva, quasi mille bambini, donne, nonni, che dopo la guerra – perché la guerra, finalmente, cessò – ebbero un motivo in più per tifare per Gino Bartali al Tour de France e in tutte le altre corse a pedali.

Se lo avessero scoperto, i fascisti lo avrebbero fucilato all’istante, il campione, senza nemmeno lasciarlo scendere dalla bicicletta, ma anche per loro fu impossibile acchiapparlo, come accadeva ai ciclisti suoi avversari durante le gare. Non lo acchiapparono e, di nuovo in tempo di pace, Bartali tornò a vincere, pedalando e brontolando, e continuò a essere il campione che era. Con in più quel trofeo invisibile, che non prevede maglie rosa o gialle, né coppe o medaglie, ma sta inciso in un muro di Gerusalemme: Gino Bartali, campione, tra i Giusti tra le nazioni che si diede da fare senza pensarci un istante, perché anche se spesso è tutto da rifare, quasi sempre c’è qualcosa che si può fare.

gino

faccia