Etty Hillesum “Diario 1941 – 1943”

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«Bisogna avvicinarsi a un libro alla maniera in cui si avvicinano le persone. Senza idee preconcette e senza pretese. Talvolta ci si forma un’idea dell’opera dopo le prime pagine e si rimane aggrappati a quell’idea, rifiutandosi di lasciarla andare – spesso facendo violenza all’autore. Agli esseri umani deve essere garantita la massima libertà e lo stesso vale per i libri. Ogni espressione impiegata da una persona può gettare una luce nuova, improvvisa e sorprendente, e infrangere i nostri preconcetti e la certezza in cui ci hanno cullato […]. Ci formiamo dei preconcetti sulle cose che ci stanno attorno per disporre di una qualche certezza in questa nostra vita confusa e sempre mutevole, ma così facendo sacrifichiamo anche la vita vera con tutte le sue sfumature e i suoi elementi di sorpresa, e inoltre la sottovalutiamo. La vita non può essere introdotta a forza in un sistema. E nemmeno le persone. Né la letteratura» (EI, pp. 179-180)[1].

E. Hillesum, dal Diario
Di tutte le testimonianze sulle persecuzioni naziste a danno degli Ebrei, di tutte le storie di filo spinato, camini fumanti e umanità calpestata, quella di Etty Hillesum è la più lontana dall’ordinario – ammesso che simili racconti possano risultare “ordinari”, almeno nell’ambito di quello che ormai è un genere letterario. Il diario di Etty non racconta “per filo e per segno i maltrattamenti subiti” dalle vittime del nazismo, e Auschwitz, con il suo fiato mortifero, non è protagonista di queste pagine, ma resta un’ombra (seppure ineluttabile) sullo sfondo; l’autrice stessa afferma: “In futuro ci sarà chi pubblicherà tutti questi dettagli, e probabilmente sarà necessario per tramandare la storia di questo tempo nella sua compiutezza. Io non ne sento il bisogno.”. La storia che ci racconta Etty non è quella degli oppressi e degli aguzzini, ma quella della rinascita interiore di una giovane donna, il fiorire di una consapevolezza di sé tanto genuina e profonda da permetterle di scorgere il perseguitato dietro la maschera del persecutore, e riconoscere nella vittima la possibilità di emanciparsi dal proprio ruolo.

Quando comincia a tenere un diario, Etty ha ventisette anni e conduce una vita molto libera per il suo tempo: olandese, figlia della borghesia intellettuale ebraica, vive con il proprio compagno in un appartamento misto, dà lezioni private di Russo, legge Rilke, Dostoevskij, Jung; assapora la vita in tutti i suoi aspetti, e non si priva di amicizie e relazioni amorose. Da un punto di vista materiale e affettivo, Etty non manca di nulla; eppure si sente “un gomitolo aggrovigliato”, affetta da “costipazione spirituale”. Decide così di entrare in terapia presso lo studio di Julius Spier (“S.” nel diario), allievo di Jung e personalità carismatica ed eclettica, il quale la inizierà a un tipo di introspezione che, oltre a farle riconsiderare il suo rapporto con il prossimo e con se stessa, le farà scoprire un ‘luogo’ interiore in cui le sarà possibile raccogliersi, un riferimento concreto a cui potrà sempre tornare per ritrovarsi: “io riposo in me stessa. E questo «me stessa», la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo «Dio». […] Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo.”.

I quaderni parlano così di vita che scorre e insieme di progetti, in ogni istante, anche se le annotazioni ” vietato agli ebrei ” s’infittiscono e la morsa delle proibizioni si stringe: “ C’è la guerra, ci sono i campi di concentramento. Conosco la persecuzione e l’oppressione, l’odio imponente e il sadismo. Eppure, in un momento di abbandono, io mi ritrovo sul petto nudo della vita e le sue braccia mi circondano così dolci e protettive e sento il battito del suo cuore, così lento e così dolce, così fedele come non dovesse arrestarsi mai, così buono e misericordioso. Io sento la vita in questo modo, né credo che una guerra o altre insensate barbarie umane potranno cambiare qualcosa”. Per tutto ciò il diario di Etty Hillesum ci pare uno straordinario inno alla vita: “Secondo la radio inglese, dall’aprile scorso (1942,ndr ) sono morti settecentomila ebrei. Sono già morta mille volte in mille campi di concentramento. In un modo o nell’altro so già tutto. Eppure trovo questa vita bella e ricca di significato. Ogni minuto“.

Etty Hillesum è morta ad Auschwitz sul finire del 1943, a ventinove anni. I suoi auspici si sono realizzati, perché i sopravvissuti hanno raccontato ciò che lei ha sintetizzato in un paio di righe: “Un pezzo di storia com’è ora e come non è mai stato in passato, non in questa forma totalitaria, organizzata per grandi masse, estesa all’Europa intera”. Il diario è stato salvato e trasformato in testimonianza.quaderni

 

 

Etty Hillesum
Etty Hillesum